SERAFINO
CAVALLERI
1934 – 2018
Io corro sulla via dei tuoi comandi perché tu dilati il mio cuore.
Sal 119, 32
Serafino Cavalleri nasce nel 1934 a Breccia, quartiere sud di Como, in una semplice famiglia di artigiani. Trascorre un’infanzia gioiosa, nonostante le ristrettezze economiche, crescendo umanamente e spiritualmente nell’ambito della parrocchia di San Cassiano e del seminario comboniano di Rebbio, dove conosce e si appassiona all’opera missionaria.
Nelle difficoltà, non preoccuparti: c’è il Signore!
Delegato di Azione Cattolica, forma una famiglia sempre consapevole della vicinanza misericordiosa di Dio, disponibile all’accoglienza e aperta alle necessità del prossimo. Per trentacinque anni è barelliere dell’ UNITALSI e dal 1984 vede realizzato il suo desiderio di servire i più poveri in Uganda, soprattutto presso l’ospedale allora diretto da padre Giuseppe Ambrosoli, il cui esempio di umiltà e totale dedizione lo convince a divenire per trent’anni “il falegname di Kalongo” e a sostenere questa amata realtà con il proprio lavoro, la preghiera costante, innumerevoli testimonianze e iniziative benefiche fino alla sua morte avvenuta nel 2018.
Sono contento di essere nato povero e voglio morire da povero!
Testimonianze
«Etu Francesco, quando vai in Africa? Così mi dice don Giusto al termine del funerale. Anche lui è missionario e certamente sa meglio di me quali difficoltà ha incontrato mio nonno per inseguire il suo sogno. In quel momento, penso che potrei partire l’indomani. Poi capisco che per ora il mio posto è qui. Nelle settimane successive, rileggendo il suo libro mi tornano alla mente tanti racconti sentiti fin da piccolo, che solo ora capisco pienamente. Provo tanto orgoglio per quanto lontano sia arrivato quel falegname disobbediente che doveva essere mio nonno da ragazzo. Un sogno, quello della missione, chiaro fin dall’infanzia e perseguito poi senza essere stato scalfito: questo ho compreso, tardi. Infatti non sono le imprese lontane che ricordo, ma le belle esperienze che mio fratello ed io abbiamo vissuto con lui e la nonna: la casetta in giardino, le navi di legno, i tentativi falliti di produrre del vino… Mi accorgo che forse sta in questo la forza di sentirsi chiamati a servire: sapersi donare a chi è in qualche modo povero per dargli occasione di riscattarsi, senza però dimenticare quanto bisognose possano essere le persone che più ci stanno vicine, familiari, parenti ed amici. E con la stessa fiducia costruire assieme una strada nuova. È questa la Vocazione che oggi io sento di cercare: la motivazione per costruire un mondo più giusto, aperto e sostenibile, senza dimenticare di prendermi cura di chi mi è vicino, a partire da me stesso. Lui mi sorride.»
Francesco Cavalleri, nipote
La biografia
Serafino Cavalleri nacque il 6 novembre 1934 a Breccia, oggi quartiere di Como-Sud. Il padre falegname, la madre operaia, primogenito e unico maschio di quattro figli. La povertà segnò la sua infanzia: realtà diffusa nel suo contesto sociale, e tuttavia più volte benedetta come scuola di vita e strumento efficace per cogliere il bisogno altrui. Una famiglia presa dalla fatica di vivere dunque, ma legata da affetto reciproco, capace di sacrificio, dove il Rosario era la preghiera comune della sera e la frequentazione della parrocchia una naturale conseguenza. Il piccolo Serafino fu chierichetto e voce bianca nel coro di S. Cassiano, conservando poi per sempre una gioiosa passione per il canto. Ricordava la sua Prima Comunione come un indimenticabile, intimo incontro con Gesù, favorito dalla guida spirituale del suo amato parroco, don Luigi Marzorati, e dei Padri Comboniani di Rebbio, incaricati, a quel tempo, del catechismo e dell’animazione missionaria.
Presto conquistato al desiderio di annunciare il Vangelo in terra di missione, dovette tuttavia rinunciare a farsi comboniano per le fragili condizioni di salute del padre e le necessità familiari. Iniziò quindi molto presto il suo apprendistato nella bottega di falegnameria dove svolse poi con dedizione il mestiere di artigiano fino agli ottant’anni. Visse, in gioventù, un periodo di allontanamento dalla vita religiosa: fu un inatteso viaggio a Lourdes che operò in lui una vera conversione, trasformando radicalmente la sua vita. Tornò dunque alla parrocchia di Breccia, per diventare animatore, catechista, poi delegato di Azione Cattolica, ruoli tutti in cui poté esprimere la sua briosa inventiva e la sua naturale affabilità.
Fu nel 1966 che convolò a nozze con una giovane dell’oratorio, la “sua Ester”, a fianco della quale cercò di manifestare un amore coniugale vissuto in comunione con Dio, lasciandosi educare quotidianamente alla fiducia e alla donazione reciproche e, nonostante limiti e difficoltà, alla libertà di aprirsi al prossimo più sofferente per esprimere in gesti umili, ma concreti, l’annuncio di un Dio vicino. La nascita dei figli Paola, Matteo e Francesca e, negli anni, quella dei nipoti, suscitarono in lui letizia grande e una sentita riconoscenza verso quel Padre misericordioso, al cui abbraccio soleva affidarsi. Uno dei modi più frequenti di definirsi era: “Sono un povero peccatore, ma sento che il Signore mi ama”.
La naturale sollecitudine verso i più deboli sfociò nella sua attività di volontariato presso l’Unitalsi, che lo vide barelliere a Lourdes per trentacinque anni: è qui che egli confermò e nutrì la sua sincera devozione filiale per Maria, Colei cui affidare ogni dolore, ogni speranza, Via a Gesù, Avvocata degli stanchi e degli oppressi, Porta del Cielo. Il Rosario sempre in tasca, pronto all’uso: un’Ave Maria, un nome.
Un grande, decisivo evento, si verificò all’improvviso nella vita di Serafino: un amico fraterno gli offrì la possibilità di realizzare il sogno mai del tutto abbandonato di recarsi in terra d’Africa. Fu dunque nel 1984 che decollò per la prima volta verso Kampala, Uganda, destinazione l’ospedale di Gulu, dove necessitavano di opere di falegnameria e carpenteria. Sostenuto dalla famiglia, partì, ignaro, verso l’incontro che avrebbe per sempre cambiato la sua vita, quello con il sacerdote e medico comboniano Padre Giuseppe Ambrosoli che dirigeva allora il primo, essenziale nucleo dell’attuale Father Ambrosoli Memorial Hospital di Kalongo, in terra acioli, Nord Uganda. Si incontrarono per caso e per un tempo breve, quella volta: tuttavia, la pacata semplicità del missionario comasco, la sua bontà, l’umiltà del suo porsi, il suo incedere tra un reparto e l’altro con il rosario intrecciato alle dita, quasi per dare continuità alla preghiera del suo donarsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, colpirono la sensibilità di Serafino che, in aggiunta, non poté non vedere la povertà estrema, la malattia, le privazioni e le lacune, la lontananza da ogni fonte di approvvigionamento di quella realtà di salvezza sconfinata nella brulla savana.
Tornato in Italia ormai perfettamente consapevole di quanto urgente fosse un’azione concreta di supporto a Padre Ambrosoli e ai tanti missionari che come lui sfidavano condizioni estreme per il bene dei più poveri, non si trattenne dal muovere tutte le sue conoscenze, dal bussare a tutte le porte; narrò e documentò la sua esperienza a quante più persone fossero disposte ad ascoltarlo e cominciò la sua attività di raccoglitore di materiali e strumenti di ogni genere con cui riempì, nel corso degli anni, 114 containers, diretti non solo in Uganda, ma anche in Togo, Sudan, Ghana ed Eritrea. Un agire infaticabile, dettato oltretutto da un’incrollabile fiducia nella Provvidenza che, infinitamente grato, egli vide declinarsi nell’aiuto pratico ed economico di tanti amici come di persone sconosciute che risposero generosamente ai suoi multiformi appelli.
Questo legame non venne mai meno: nemmeno quando, nel 1987, durante la guerra civile, Kalongo fu costretta all’evacuazione in condizioni disumane, fatto che causò la morte di Padre Ambrosoli, stremato dalle tensioni e dalle fatiche. L’immenso dolore di questa perdita non fece che confermare Serafino nella dedizione a quella realtà lontana nello spazio, ma vicina al suo cuore. Fu così che quando Padre Egidio Tocalli, medico comboniano, riaprì l’ospedale, egli fu tra i primi a recarsi sul posto, nel gennaio del 1990: iniziò così una collaborazione trentennale, tanto dinamica ed entusiasta da fare di lui “il falegname di Kalongo”, amico fedele nonostante i rischi della guerra, cooperatore amatissimo dai “suoi ragazzi di bottega” acioli, al ricordo dei quali usava spesso la parola “nostalgia”.
Nel 1999 la città di Como riconobbe il valore civile e sociale di questo suo impegno missionario, attribuendogli l’Abbondino d’Oro, la sua più alta benemerenza, che valse all’Ospedale di Kalongo un cospicuo aiuto economico. Negli ultimi tempi, data l’età ormai avanzata, sopraggiunsero vari problemi di salute e una fragilità ch’egli accettò come un tempo ideale per la preghiera di intercessione. E serio, ma sereno, ripeteva: “Sono pronto per l’incontro col Signore”.
Serafino si spense in pace l’8 novembre 2018. La domenica precedente, nell’occasione del suo compleanno, aveva pregato e cantato la Salve Regina con tutta la famiglia e, fiducioso fino alla fine, aveva ricordato a tutti che “la vita è un dono prezioso”.
Bibliografia e fonti
- Serafino Cavalleri, Il falegname di Kalongo (a cura di Augusta Molteni Lucca)