ACHILLE
GRANDI

SINDACALISTA, POLITICO E FONDATORE DELLE ACLI
1883 – 1946

 

Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e i suoi piani superiori senza equità, fa lavorare il prossimo per niente, senza dargli il salario.

Ger 22, 13

Achille Grandi nacque a Como nel 1883. Giovanissimo iniziò l’impegno sociale ispirato dalla Rerum Novarum di Leone XIII. Nel 1907 fu segretario della “Direzione diocesana Comense”, un coordinamento delle varie opere sociali e culturali presenti sul territorio. Tale incarico si concluse però nel 1913 con le dimissioni causate da un contrasto con l’allora vescovo di Como mons. Archi. Senza scoraggiarsi riprese il proprio impegno trasferendosi a Monza dove operò nei sindacati cattolici. Qui contribuì a fondare la CIL e, impegnandosi nell’attività politica con il neonato Partito Popolare, nel 1919 divenne deputato. Fin da subito critico nei confronti del fascismo, fu isolato politicamente e, pur disoccupato, rifiutò sempre qualsiasi collusione con il regime. Ancora una volta non si perse d’animo e si impegnò, dapprima clandestinamente e poi pubblicamente, per la democrazia e per l’unità sindacale. In questo tempo si inserisce il suo contributo come protagonista nella fondazione delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani). Eletto all’Assemblea Costituente della nuova Repubblica, ne fu vicepresidente. Morì a Desio nel 1946.

Ho amato la mia Patria l’Italia, e la causa del suo popolo lavoratore, e le ho servite fedelmente e desidero l’una e l’altra congiunte nella grandezza e nella giustizia della pace sociale cristiana.


Testimonianze

«Io ho conosciuto Achille Grandi tramite la moglie. Nel 1961, in occasione dell’inaugurazione della scuola di Cantù che veniva intitolata ad Achille Grandi, a me, che avevo poco più di vent’anni era stato detto: “Devi andare con l’auto a prendere la moglie di Grandi e portarla alla scuola”. Io andai a Camerlata, in via Turati, dove la signora abitava nelle case popolari in un appartamento modestissimo di due stanze. Mi accolse con semplicità, discorrendo in dialetto. Terminata la cerimonia riaccompagnai a casa la signora, che mi invitò ad andare a trovarla, cosa che feci subito dopo Natale. Andai sempre a trovarla, all’inizio due o tre volte all’anno, poi più di frequente fino al 1975, quando morì. La signora Maria, quando io la conobbi, non aveva ancora il telefono che le fu installato dopo qualche tempo per iniziativa della Cisl di Como. Lei diceva: “Io non ho niente perché mio marito dava quello che aveva a chi ne aveva bisogno”. Quando Grandi morì non aveva nemmeno una casa sua, ma abitava a Desio in un appartamento prestato da un amico. Quell’incontro del 23 ottobre 1961, in apparenza di routine, di fatto mi ha cambiato la vita. Erano gli anni del boom economico, io ero giovane, avevo studiato, tutti sottintendevano che noi giovani avremmo fatto i soldi. Ecco, invece, il fatto di vedere questa signora che era stata moglie di un uomo politico importante e non aveva una lira mi ha indotto a pensare. Era importante vivere con una tensione ideale e spirituale.»

Giorgio Cavalleri, scrittore e storico comasco. 

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